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Chierici

I delitti contro il sesto precetto del Decalogo commessi da chierici a danno di minori e più in generale i delicta graviora contro la morale, contro i sacramenti e contro la fede (delicta reservata) sono riservati alla competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) che tutela “la dottrina sulla fede ed i costumi in tutto l’orbe cattolico” attraverso l’esercizio della funzione giurisdizionale in materia penale.

 

Assistiamo i chierici accusati di abusi diretti contro i minori di anni 18 e di abusi indiretti (pedopornografia) contro minori di anni 14, nel delicato equilibrio ricercato dalla CDF tra il diritto alla difesa del chierico accusato e l’esigenza di custodire e diffondere la retta fede.
Si hanno abusi indiretti in caso di mancanza di contatto fisico tra abusante e vittima. In tali circostanze la condotta punibile è relativa all’acquisizione, detenzione o divulgazione a fine di libidine di immagini pornografiche di minori sotto i 14 anni da parte di un chierico in qualunque modo e con qualunque strumento. Per tale fattispecie l’elemento soggettivo esige un dolo specifico.
Nell’ordinamento ecclesiale non si può dimenticare che l’instaurazione di un procedimento penale costituisce pur sempre l’extrema ratio, dovendosi verificare dapprima la possibilità di fare ricorso ad espedienti pastorali.
In una comunità come la Chiesa, infatti, il processo non è la situazione ideale dei conflitti; dal punto di vista ecclesiale il processo è un male, una situazione patologica che danneggia la comunione.

 

Abbiamo la professionalità e le competenze necessarie per assistere il soggetto imputato di un delitto tipizzato dal Legislatore canonico in ogni stato e grado del relativo procedimento penale instaurato.

 

Dai delitti contro la religione e contro l’unità della Chiesa (ad esempio le violazioni dei canoni 1364, 844 e 908 CJC), a quelli contro le autorità e la libertà della Chiesa (ad es. le violazioni contro il canone 1371 CJC); dall’usurpazione e possesso illegittimo di un ufficio ecclesiastico, all’esercizio illegittimo del ministero sacro, fino alle violazioni del sigillo sacramentale e del segreto confessionale. Dai delitti di falso (come la lesione della buona fama) a quelli contro obblighi speciali (come il concubinato e altri delitti di chierici contro il VI comandamento, di cui sopra).

 

La finalità del diritto penale canonico non è quella di punire chi commette un delitto, ma di fare in modo che l’autore si converta. Quando c’è la necessità di applicare una pena tale finalità viene raggiunta solo a seguito di un processo penale, che potrà essere giudiziario o amministrativo, teso ad acquisire la certezza morale per infliggere o dichiarare la pena.
Il presupposto perché possa cominciare un processo penale è che, eventualmente a seguito di indagini, vengano raccolti elementi sufficienti per ritenere che sia stato commesso un fatto delittuoso: il delitto è, quindi, un fatto umano (attivo o passivo cui si lega un dato evento) che prescinde dalle connotazioni psicologiche (colpa e dolo). Inoltre tale “fatto umano” per essere penalmente rilevante deve essere tipico, deve cioè essere stato tipizzato dal Legislatore, e quindi punibile.

 

Tuttavia non ogni “fatto umano tipico” è in contrasto con la normativa canonica. Per tale motivo il fatto umano tipico deve essere anche antigiuridico, cioé contra ius: contro l’ordinamento canonico. È il canone 1321 del Codice di Diritto Canonico a delineare che il delitto è una violazione esterna e “gravemente imputabile”, per dolo o colpa, della legge o del precetto: e quindi a rilevare oltre che il nesso causale è anche quello psichico tra il fatto illecito ed il suo autore; nesso psichico che può assumere le forme del dolo e quelle della colpa.