La rimozione

del parroco

A livello generale la rimozione dall’ufficio è disciplinata dai canoni 192-195 ed è un provvedimento di carattere disciplinare che può essere preso solo se vi siano adeguate “cause”, nel rispetto di precisi termini ed in modo rituale. La procedura ha ogni rigore formale e sostanziale stante la gravosità del provvedimento.

Tale normativa generale è sussidiaria a quella specifica: quest’ultima, cioè, prevale su quella.

La rimozione del parroco segue una procedura espressamente codificata e disciplinata da specifiche norme, i canoni 1740-1752, che, come detto, prevale sulla normativa generale.

Oggetto di protezione giuridica tutelato dalla procedura di rimozione (e di trasferimento) è lo status di parroco. La procedura si applica infatti esclusivamente a chi esercita piena cura pastorale a titolo “proprio”, entro la scadenza del mandato (anche oltre il 75esimo anno), e quindi:

  • parroco;
  • quasi parroco;
  • cappellano militare (salvo diritto proprio);
  • moderatore della cura pastorale in solidum;
  • cappellano di “missione sui iuris”;
  • missionario titolare di parrocchia.

Secondo il can. 1740 il Vescovo diocesano può rimuovere il parroco se il suo ministero sia divenuto “nocivo o almeno inefficace”. Sono escluse specifiche azioni da parte del parroco: il Legislatore infatti non richiede la ‘colpa’ ma una “qualunque causa” che renda inadeguato il suo ministero compromettendone il risultato.

L’oggetto della valutazione non è quindi la persona del parroco (verifica eventualmente lasciata ad un procedimento penale).
Il parroco ha il diritto di partecipazione e/o difesa per far presente al Vescovo le proprie ragioni e motivazioni: in tal modo può partecipare attivamente al cambiamento del suo futuro.

La procedura

di rimozione

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ISTRUTTORIA

Il Vescovo, o un suo delegato, tramite un’istruttoria dovrà accertarsi dell’esistenza della “nocività o almeno inefficacia” del ministero pastorale del parroco al fine di avere a disposizione tutti gli elementi per giungere alla rimozione. L’istruttoria non è regolata da norme ma deve essere condotta con estrema prudenza e discrezione, analogamente a quanto prevede il can. 1717 §2 per l’indagine previa nel processo penale canonico: in modo, cioè, da non mettere in pericolo la buona fama della persona né, in questo specifico caso, il suo ministero, qualora si decidesse poi di non rimuovere il parroco.

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CONSULTAZIONE

I risultati dell’istruttoria sono discussi dal Vescovo con i due parroci assessori designati dal consiglio presbiteriale e che lo aiutano a valutare quanto è risultato dall’istruttoria. Il consiglio presbiteriale costituisce un gruppo di parroci elencati dal Vescovo all’interno del quale gruppo, in tutta libertà, il Vescovo sceglierà i due parroci assessori con cui collaborare. I due parroci, che non possono essere ricusati, lo assisteranno nella valutazione circa l’effettiva gravità della situazione pastorale emersa dall’istruttoria per determinare la necessità o l’utilità della rimozione.

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INVITO

A questo punto il Vescovo, se giudicherà necessaria la rimozione, rivolgerà in forma scritta al parroco l’invito paterno affinchè egli rinunci spontaneamente all’ufficio entro 15 giorni: è il primo atto formale con il quale viene informato che una procedura di rimozione è iniziata. A pena di invalidità della procedura, l’invito dovrà tassativamente indicare “le cause e gli argomenti” a sostegno della rimozione. La causa non può essere quella generica di cui al can. 1740, ma specifica come quelle esemplificate nel can. 1741. Spetta al Vescovo provvedere alla nuova sistemazione ed al sostentamento del presbitero rimosso.

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REAZIONI

Dopo l’intimazione del decreto il parroco può:
1) Rinunciare all’ufficio: termina la procedura.
2) Non rispondere: il Vescovo con un nuovo decreto deve invitarlo nuovamente alla rinuncia. Se ancora non risponde o rifiuta di dimettersi, il Vescovo può emettere il decreto di rimozione in cui dovrà indicargli possibilità e modalità per opporsi al decreto.
3) Opporsi alla decisione del Vescovo: dopo aver esaminato gli atti può contestare per iscritto entro 10 giorni il decreto di rimozione. La proposizione di questa remonstratio sospende l’esecuzione del provvedimento.

Il can. 1741 indica 5 diverse cause che devono essere durature e provate e che esemplificano quale danno o inefficacia ministeriale può portare alla rimozione. Ciò si verifica quando il parroco:
1) agisce in modo da causare grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale;
2) per incompetenza o impossibilità fisica o mentale non è (più) in grado di espletare efficacemente l’esercizio ministeriale;
3) perde la buona reputazione tra i parrocchiani o vi sia avversione contro di lui e si prevede che tali situazioni non cesseranno in breve tempo;
4) per una grave negligenza o inosservanza dei suoi doveri sia recidivo nella grave inadempienza del suo ministero;
5) amministri male i beni della parrocchia con grave danno della Chiesa e non vi sia altra possibilità di porre rimedio se non con la rimozione.

la rimozione

La rimozione presuppone nocività o inefficacia del ministero pastorale del parroco, anche senza sua grave colpa. Al danno e all’inefficacia pastorale vanno ricondotte tutte le altre “cause” per poter o dover procedere alla rimozione.

il trasferimento

Si ha trasferimento quando il parroco, pur reggendo utilmente la sua parrocchia, risulta più adatto e idoneo a svolgere un altro compito ed esercitare un altro ufficio: il trasferimento è caratterizzato dall’assunzione di un nuovo ufficio.

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