Diritto Amministrativo Canonico

Il diritto amministrativo

della Chiesa

Il Diritto amministrativo canonico, come ramo a sé stante dell’ordinamento della Chiesa, cominciò ad essere inquadrato da un punto di vista teorico-dottrinario dalla canonistica italiana e spagnola soltanto agli inizi degli anni sessanta.
Fu in quel periodo che si evidenziò come tutto il Diritto positivo ecclesiale che regola la funzione di governo della Chiesa fosse sostanzialmente Diritto amministrativo.
E ciò, ovviamente, con i necessari distinguo rispetto al modello dell’Amministrazione statuale, poiché, a differenza di questa, l’ordinamento canonico è privo di una vera e propria pubblica Amministrazione.

Nel diritto canonico si può dire che la gerarchia ecclesiastica per raggiungere i fini della Chiesa, in conformità ai suoi principi dottrinali e costituzionali, agisce attraverso strumenti reali (naturali e soprannaturali) e personali operando grazie alle norme canoniche.
E la maggior parte delle norme canoniche, secondo attenta dottrina sono di Diritto amministrativo: così come le norme che regolano i mezzi personali di cui si serve la Chiesa per realizzare i suoi fini (persone, uffici ed organizzazione), l’attività intraecclesiale, i munera docendi e sanctificandi (i più caratteristici mezzi di santificazione), i beni temporali e le norme relative ai servizi, quelle disciplinari ed anche quelle penali.

I presupposti del Diritto amministrativo canonico possono essere riscontrati attraverso:
– l’individuazione dei tre poteri nell’Ordinamento canonico (legislativo, esecutivo e giudiziale) e la loro divisione di attribuzione;
– la vigenza sostanziale del ‘principio di legalità’ e il conseguente primato della Legge e soggezione dell’esercizio delle diverse potestà alla Legge stessa, per quanto ciò non sia assoluto dovendo prevalere comunque il bene spirituale anche del singolo rispetto agli altri valori tutelati dall’Ordinamento;
– l’esistenza di modalità di rapporto tra i diversi soggetti giuridici secondo regole e mezzi diversi dal Diritto dei privati.

La Giustizia

Amministrativa

L'atto amministrativo

L’atto amministrativo è quell’atto giuridico unilaterale attorno al quale ruota tutto il sistema della Giustizia amministrativa.
Attraverso l’atto amministrativo, che può essere un decreto, un precetto o un rescritto, l’autorità esecutiva assume una decisione di governo.
Il rispetto del procedimento attraverso il quale l’autorità competente arriva ad emettere un atto amministrativo è finalizzato ad evitare di emanare atti nulli o ingiusti e permettere al fedele interessato di esporre le proprie ragioni prima dell’emissione dell’atto.

 

L’atto amministrativo per produrre i suoi effetti deve avere forma scritta ed essere notificato al destinatario.
Il perfezionamento della notifica può attuarsi in uno dei seguenti modi, attraverso:
– la consegna dell’atto;
– la lettura dell’atto dinanzi ad un notaio o a due testimoni;
– la convocazione del fedele a ricevere l’atto o alla sua lettura e questi non si sia presentato senza addurre alcuna iusta causa.
Se l’atto, nonostante la mancata notifica, viene ugualmente eseguito (ledendo di fatto i diritti del fedele), può essere richiesto dal destinatario all’autorità che lo ha emesso per potersi difendere.
Anche nel caso in cui l’atto amministrativo non venga emesso (perché l’autorità ha illegittimamente proceduto per vie di fatto) e sia lesivo dei diritti del destinatario può essere impugnato, poiché è il fatto stesso della lesione dei diritti del fedele a fungere da atto amministrativo.

Il Ricorso

L’atto amministrativo può essere impugnato con un ricorso tramite il quale il fedele chiede la revisione dell’atto ritenuto ingiusto o illegittimo.
Non tutti gli atti amministrativi sono ricorribili: contro gli atti emanati dal Romano Pontefice in persona (Prima sedes a nemine iudicatur), al quale può solo essere chiesto di riesaminare un suo provvedimento, e quelli del Concilio Ecumenico in congregazione generale non si può esperire ricorso, anche considerato che non vi è un’autorità superiore alla quale ricorrere.
Vi sono, poi, dei ricorsi cc.dd. praeter legem che, non essendo previsti dal diritto, non obbligano l’autorità adita a pronunciarsi e non sono interruttivi dei termini per ricorrere.

 

Il Codice prevede due tipologie di ricorso:
1) il ricorso immediato previo che deve essere presentato per iscritto alla stessa autorità esecutiva che ha emanato l’atto amministrativo contro cui si ricorre entro il termine perentorio di 10 giorni dalla legittima notifica dell’atto. Consiste in una richiesta (petitio) di revoca o modifica della decisione adottata o del provvedimento assunto con l’atto amministrativo.
L’autorità che ha emanato l’atto è tenuta a rispondere entro 30 giorni dal momento in cui ha ricevuto la petitio di riesame, che ha anche l’ulteriore effetto processuale di sospendere l’esecuzione. È obbligatorio esperire questo tipo di ricorso prima di procedere con altri ricorsi, ad eccezione di quanto previsto dal can. 1734.
2) il ricorso mediato è il ricorso con il quale si chiede direttamente all’autorità superiore dell’autore dell’atto amministrativo impugnato, di verificarlo.

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